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TRACCIA 01/04
DUE O TRE COSE SU RELAZIONE E IMMAGINE
Flavia Rossi
DUE O TRE COSE SU RELAZIONE E IMMAGINE
Flavia Rossi
Flavia Rossi si laurea in architettura a La Sapienza di Roma con una tesi in Estetica del paesaggio e in fotografia presso IUAV, Venezia. Nel 2019 vince il bando Atlante per la DGCC del MiBACT. Candidata nel 2020 per il Premio Basilico con il progetto “Nuovo Patrimonio”, che sarà esposto al Festival BFF di Mantova nel 2022.
ESTRATTO
≪Dov'è dunque la vita, di fronte o di profilo, ma soprattutto cos'è un oggetto?
Forse è un legame che ci permette di passare da un soggetto all'altro, di vivere in società e di stare insieme. I costrutti sociali sono sempre ambigui e il pensiero, così come unisce, separa. Le parole uniscono per quello che esprimono e separano per quello che omettono.
C’è un grande abisso che separa la certezza soggettiva dalla verità oggettiva degli altri e la fotografia, come ponte che allaccia le resistenze dei nodi, diventa uno strumento per entrare in azione ed evitare che il discorso diventi sterile ed autoreferenziale.
Il mio essere cosciente nell'immagine del presente, nella domanda ineludibile sul futuro, mi ricollega biologicamente al mio passato.
La fotografia, quindi, nasce da un'osservazione attenta e paziente che deriva da un atteggiamento di partenza non giudicante, da una certa insicurezza indefinita dal possedere molte domande e dal mostrarle nelle fotografie stesse, per manifestare una profondità di riflessione maggiore≫.
Dal cinema di Jean-Luc Godard, passando per Roland Barthes e Michaele Foucault, alla fotografia, si indaga l’esistenza di ciò che osserviamo. Non bisogna guardare agli oggetti singoli, ma alla relazione tra di essi e al ruolo della memoria collettiva e personale.
≪Dov'è dunque la vita, di fronte o di profilo, ma soprattutto cos'è un oggetto?
Forse è un legame che ci permette di passare da un soggetto all'altro, di vivere in società e di stare insieme. I costrutti sociali sono sempre ambigui e il pensiero, così come unisce, separa. Le parole uniscono per quello che esprimono e separano per quello che omettono.
C’è un grande abisso che separa la certezza soggettiva dalla verità oggettiva degli altri e la fotografia, come ponte che allaccia le resistenze dei nodi, diventa uno strumento per entrare in azione ed evitare che il discorso diventi sterile ed autoreferenziale.
Il mio essere cosciente nell'immagine del presente, nella domanda ineludibile sul futuro, mi ricollega biologicamente al mio passato.
La fotografia, quindi, nasce da un'osservazione attenta e paziente che deriva da un atteggiamento di partenza non giudicante, da una certa insicurezza indefinita dal possedere molte domande e dal mostrarle nelle fotografie stesse, per manifestare una profondità di riflessione maggiore≫.
Dal cinema di Jean-Luc Godard, passando per Roland Barthes e Michaele Foucault, alla fotografia, si indaga l’esistenza di ciò che osserviamo. Non bisogna guardare agli oggetti singoli, ma alla relazione tra di essi e al ruolo della memoria collettiva e personale.
NOTE BIBLIOGRAFICHE
00:01 Monologo tratto da “Due o tre cose che so di lei”, Jean-Luc Godard, 1967.
00:52 Michaele Foucault, Le parole e le cose, Gallimard 1966, Rizzoli, 1967.
1:14 Roland Barthes, Il grado zero della scrittura, originale francese 1953, Einaudi, 1982.
2:00 Andrea Carandini, L'ultimo della classe. Archeologia di un borghese critico, Rizzoli, 2021.
2:38 A Scientific Autobiography. Cambridge, Oppositions Books, 1981.
00:01 Monologo tratto da “Due o tre cose che so di lei”, Jean-Luc Godard, 1967.
00:52 Michaele Foucault, Le parole e le cose, Gallimard 1966, Rizzoli, 1967.
1:14 Roland Barthes, Il grado zero della scrittura, originale francese 1953, Einaudi, 1982.
2:00 Andrea Carandini, L'ultimo della classe. Archeologia di un borghese critico, Rizzoli, 2021.
2:38 A Scientific Autobiography. Cambridge, Oppositions Books, 1981.
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audiomagazine critico teorico di architettura
redazione@tracciazine.it